Silvia Aru
Il 13 e 14 maggio palazzo Fenzi, sede del Dipartimento di Studi storico e geografici dell’Università di Firenze, ha ospitato la conferenza internazionale Urban Public Space in Western and Islamic Countries.
L’evento fa seguito all’incontro internazionale del 27-28 novembre del 2008 Practices and Dynamics in Urban Public Space: Conducting empirical reasearch; entrambi realizzati nell’ambito delle attività di cooperazione scientifica tra le Università di Firenze ed Isfahan (Iran) e Firenze e Herat (Afghanistan). La conferenza è stata organizzata dal Laboratorio di Geografia sociale del Dipartimento con il contributo dell’Ateneo fiorentino, del Dipartimento medesimo, della Regione Toscana e della Gerda Henkel Stifung (Düsseldorf). Hanno patrocinato l’iniziativa l’Agei (Associazione dei geografi italiani) e le due principali Società italiane di geografia.
Durante l’evento, dal forte respiro internazionale, hanno svolto le loro relazioni numerosi studiosi afferenti a diverse discipline, col fine di offrire un’arena di incontro e confronto molteplice su una tematica dalla forte valenza sociale: il valore pratico e simbolico dello spazio pubblico nella città contemporanea e le sue trasformazioni.
Per rispondere a tale obiettivo, la conferenza è stata articolata in tre sessioni: Public Sphere and Public Space in the Multiple City,la mattina del primo giorno; Public Space in Contemporary Italian Cities, nel pomeriggio e, il 14 mattina, Public Sphere and Public Space in Persian Culture.
Il congresso si è aperto con i saluti portati dalla preside della Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze, Franca Pecchioli Daddi, dal pro-rettore dell’Università di Firenze per le relazioni internazionali, Michele Papa; fino a giungere al discorso introduttivo di Mirella Loda, organizzatrice scientifica dell’evento.
La prima sessione, coordinata da Vincenzo Guarrasi, ha proposto un confronto sui differenti approcci attraverso cui viene affrontato il tema dello spazio pubblico in diversi ambiti disciplinari.
Bruno Vecchio ha analizzato la tematica da una prospettiva geografica, offrendo una lettura diacronica delle principali impostazioni epistemologiche sul concetto di spazio, a partire dalla dicotomia tra i concetti di “spazio assoluto”, di tipo euclideo, e di “spazio relazionale”, ovvero modellato in maniera costante da dinamiche sociali anch’esse mobili e mutevoli. Quest’ultimo concetto sembra indicare la via maestra da percorrere per sviluppare un approccio geografico metodico d’indagine sullo spazio pubblico. Infatti, più soggetti collettivi come possono dare luogo a diverse spazialità, possono anche dare vita a spazi pubblici differenti (o diversamente intesi). Da qui la necessità riscontrata, e più volte ribadita nell’ambito del convegno, di studi empirici sistematici da affiancare alle riflessioni di natura teorica.
Il punto di vista storico e urbanistico sono stati portati all’attenzione della platea a partire dai contributi, rispettivamente, di Franco Cardini, che ha tracciato la storia dello spazio pubblico nelle città europee, e di Massimo Preite, che ha incentrato il suo discorso sugli interventi di riqualificazione di alcuni ex-luoghi di lavoro industriale, recuperati come spazi pubblici. I siti industriali e la loro rigenerazione attraverso nuovi usi mostrano quanto sia difficile trovare un equilibrio tra processi di cambiamento dei luoghi e desiderio di conservazione di alcune loro peculiarità. I casi indagati nel contributo – gli Albert Dock di Liverpool, Castlefield (Manchester), Norrkoping (Svezia), Duisburg (Germania) – sono esempi di processi positivi di cambiamento in cui i vecchi siti industriali sono stati adattati a luoghi di incontro ed interazione sociale, mantenendo – e, nondimeno, ampliando – la loro funzione di marche di identità locale in cui la storia, fatta di lotte, di dure condizioni di lavoro e di solidarietà, ha costituito una nuova base di identificazione per gli abitanti dei luoghi e, al contempo, un nuovo polo d’attrazione cittadino per i turisti.
L’antropologo Pietro Clemente ha affrontato la spinosa questione della globalizzazione e del suo impatto sull’assetto urbano di alcune città italiane, ma anche estere. Gli interventi urbanistici avviati nella nostra epoca globale che, per usare un termine coniato da M. Herzfeld, sono stati di natura “altamente modernista”, hanno puntato troppo spesso a rendere le città, in particolare i loro centri storici, luoghi di consumo turistico; vetrine votate alla vendita, piuttosto che luoghi pensati e pianificati per gli abitanti, vecchi e nuovi, che animano la vita cittadina. La città sembra però opporre forti resistenze a quella che Clemente chiama la “neolingua economicista”: differenze dell’uso dello spazio, processi di negoziazione degli usi stessi, nuove mobilità urbane, richiamano l’importanza di studi sistematici sui processi relazionali, di negoziazione tra user differenti che strutturano lo spazio urbano.
Il tema del cambiamento è stato anche al centro dell’intervento del sociologo Paolo Jedlowski, incentrato sul ruolo dei Cafè bar come luoghi che assumono sempre più, al giorno d’oggi, la funzione di punti d’incontro in cui dinamiche relazionali legate alla sfera familiare- come nel caso del conversare, in questi contesti, con amici e parenti- si intersecano con dinamiche legate all’ambito lavorativo; come dimostrano i casi sistematici di meeting, dal carattere più o meno formale, che avvengono all’interno di questi luoghi, sempre più deputati a contesti di primaria importanza in cui tessere parte della propria rete di capitale sociale.
Durante la sessione pomeridiana, coordinata da Gabriele Zanetto, sono stati presentati i risultati di alcune ricerche empiriche condotte nelle città di Firenze, Venezia e Palermo.
Per il caso di Firenze sono stati analizzati con particolare ampiezza il tema della piazza, dei dehor e degli spazi pubblici informali. Mirella Loda, dopo aver proposto un excursus sui principali riferimenti teorici relativi allo studio dello spazio pubblico, ha focalizzato la propria presentazione su quello che può essere definito lo spazio pubblico per eccellenza: la piazza, intesa non tanto come manufatto fisico-materiale quanto, primariamente, come spazio vissuto. La ricerca empirica presentata aveva come obiettivo quello di definire la funzione odierna di alcune piazze fiorentine, il loro valore in quanto spazi di interazione sociale e di negoziazione di pratiche. L’aspetto che è emerso come elemento di assoluto interesse analitico è il progressivo strutturarsi delle piazze fiorentine in luoghi dedicati, ovvero luoghi caratterizzati da pratiche tendenzialmente omogenee ancorate a spazi ben precisi (che possono coincidere con la piazza nella sua interezza o in parti spazialmente identificate della stessa). Lo studio presentato mostra come, in una prospettiva di intervento sulle piazze, la qualità estetico- architettonica dei siti non possa essere l’unico obiettivo della pianificazione, come troppo spesso accade. Per creare spazi pubblici di successo, ovvero fruiti, infatti, serve una preliminare e attenta valutazione delle dinamiche sociali che in esso hanno luogo.
Il quadro della ricerca sugli spazi pubblici della città di Firenze è stato arricchito dalle presentazioni dei lavori compiuti nell’ambito del Laboratorio di Geografia sociale dell’Università degli Studi di Firenze, che da qualche anno ha avviato ricerche sistematiche sullo spazio pubblico urbano a Firenze, analizzando i modi in cui esso viene percepito dai fruitori e le pratiche che quotidianamente si svolgono in esso. Stefania Sbardella e Manuela Barsotelli hanno presentato lo studio relativo agli Outdoor Cafès, focalizzando la loro attenzione rispettivamente sull’analisi quantitativa e qualitativa delle strutture site nell’area centrale della città (quartiere 1) e in quella appena decentrata (quartiere 2). Stefania Sbardella ha proposto un progetto Gis per la gestione dei dehor, con dati relativi alla dislocazione, alla dimensione e alla tipologia dei differenti esercizi che ospitano le pedane (wine bar, lounge bar, birrerie, pub, etc.). Manuela Barsotelli ha approfondito il ruolo dei dehor nell’offrire modalità nuove di vivere lo spazio pubblico, combinando il piacere di stare all’aperto con il senso di sicurezza di uno spazio “protetto” legato al consumo. L’intervento di Diego Cariani si è incentrato sullo studio di forme spontanee di territorializzazione in luoghi non direttamente progettati come punti di aggregazione. L’evidenza empirica dell’importanza di tali luoghi come vere e proprie “piazze di fatto” è offerta dal caso del quartiere fiorentino dell’Isolotto, in cui il relatore ha svolto un lavoro sul campo strutturato attraverso l’osservazione sistematica del luogo ed interviste semistrutturate rivolte ai frequentatori.
Ciò che è emerso nel caso specifico d’indagine è la forte attrattiva di specifici punti del quartiere che sono stati eletti da alcuni segmenti sociali tendenzialmente omogenei (per età, provenienza, stili di vita, etc.) come luoghi di incontro “dedicati”, ovvero occupati da loro in maniera pressoché esclusiva.
I processi di interazione sociale tra differenti user e le dinamiche di negoziazione dello spazio sono stati alla base dell’interesse delle successive relazioni. Giulia de Spuches ha esaminato il rapporto esistente tra gli usi dello spazio pubblico a Palermo e le differenze di genere, attraverso l’analisi delle dinamiche che avvengono in un complesso residenziale del quartiere del capoluogo siciliano, Borgo Ulivia. Il caso di Venezia, portato all’attenzione del pubblico da Rachele Borghi, Monica Camuffo e Costanza Geotti- Bianchini, è stato affrontato a partire dall’analisi di tre aree verdi presenti nella città lagunare: il parco Hayez, il parco S. Giuliano e il Piraghetto. La ricerca ha segnalato il ruolo di tali luoghi come spazi di condivisione tra italiani e stranieri e le dinamiche di negoziazione che questa compresenza inevitabilmente implica. Nel parco di S. Giuliano e del Piraghetto, contesti più circoscritti a confronto del vasto parco Hayez, sono emerse, dalle interviste condotte presso i fruitori, dinamiche di paura e di chiusura rispetto ad una alterità, quella dei migranti, che si palesa in maniera più visibile rispetto a contesti in cui i differenti gruppi possono utilizzare la vastità dell’area per selezionare spazi dedicati, interagendo tra loro il meno possibile.
Il 14 maggio, l’ultima sessione, coordinata da Manfred Hinz, ha raccolto riflessioni e testimonianze sul ruolo che lo spazio pubblico ha svolto nella storia della cultura persiana, e sulla sua attuale funzione. Questa giornata è stata dedicata ad un approfondimento della situazione nelle città islamiche, attraverso casi di studio di città afgane e iraniane. Il primo relatore della giornata, Dawood Monir, attraverso una lettura degli spazi pubblici presenti nella città di Herat, ha analizzato alcuni elementi urbanistici caratteristici delle città islamiche: le moschee, i takaya, le piazze e i maydanche (piccole piazze), i luoghi di mercato, i bazar, ecc. I luoghi di culto nelle città islamiche svolgono solitamente un ruolo che li rende qualcosa più che luoghi di preghiera; la moschea centrale è fortemente integrata, da un punto di vista urbanistico, con le aree residenziali e commerciali della città, ed assurge a luogo d’incontro privilegiato in cui si forgia l’opinione pubblica. La città islamica presenta inoltre luoghi in cui l’accesso è consentito, per legge, solamente ad alcune categorie di persone: è il caso dei Khanqahs, luoghi destinati ai riti della comunità Sufi, o i luoghi destinati alle donne (come l’area costruita nel 2005 accanto alla grande moschea di Herat per le commemorazioni). Gli oltre venti anni di guerra in Afghanistan hanno avuto ripercussioni forti anche sullo spazio pubblico, sulla possibilità per le persone di viverlo in maniera serena a causa di bombardamenti che hanno distrutto anche gran parte dei giardini pubblici, delle piazze e degli edifici di città come Herat. La città afgana nel 2010 presenta come spazi pubblici maggiormente frequentati le moschee, i giardini che le attorniano ed i luoghi di campagna fuori città o periferici, che però sono facilmente accessibili, data la distanza, non più di una volta a settimana o durante le feste.
L’intervento di Monir è stato seguito dal contributo di Timor Qayoomi che ha presentato un’interessante lettura diacronica sulla funzione svolta dello spazio pubblico di Herat a partire dalle epoche passate, proponendo una classificazione degli spazi, passati e presenti, in spazi privati, semiprivati, semipubblici e, infine, pubblici. Ciò che si evince è una forte prevalenza nella città afgana di usi collettivi di spazi privati o comunque di luoghi che presentano un accesso di tipo controllato. Tra i luoghi pubblici che assurgono a spazi d’incontro privilegiato per gli abitanti c’è sicuramente ai primi posti il bazar, luogo di mercato, di negoziazione sociale, ma anche spazio ricreativo. La presenza di importanti monumenti storici e artistici (quali sinagoghe, portici pubblici, cisterne, moschee, etc.), inoltre, è una preziosa testimonianza dei periodi aurei vissuti dalla città in passato, a partire dal XIII secolo d.C., quando fu capitale dell’antica regione persiana del Khorasan.
La sessione è proseguita con due interventi relativi alla città iraniana di Esfahan, a cura, rispettivamente, di Gholam Reza Shiran e Mahmoud Mohammadi. Il primo relatore ha proposto i risultati di una ricerca empirica in fieri sul ruolo odierno dello spazio pubblico di Esfahan; città che si mostra alquanto vivace per numero di presenze e varietà di tipologie d’uso negli spazi pubblici. Mahmoud Mohammadi ha presentato invece una lettura storica di alcuni tra i luoghi simbolo di Esfahan, mostrando, attraverso la visualizzazione di foto, le bellezze storico- artistiche della città iraniana.
Durante l’ultima relazione, Bernard Hourcade ha proposto una rassegna degli spazi pubblici delle città iraniane contemporanee, che ha evidenziato il ruolo assunto da nuovi spazi, come ad esempio lo stadio, come luoghi di espressione della società civile. Dall’intervento si evince, inoltre, la sorprendente estensione di spazio urbano dedicato al traffico veicolare che erode la presenza di spazio pubblico.
Il convegno internazionale è stato affiancato alla mostra Per una lettura sociale delle piazze fiorentine, a cura di Silvia Aru, Stefano Bartolini, Diego Cariani e Margot Mecca. La mostra nasce nell’ambito delle attività di ricerca del Laboratorio di Geografia Sociale, con l’obiettivo di indagare le pratiche sociali, le dinamiche comunicative e di negoziazione dello spazio che prendono corpo nelle varie piazze fiorentine presentando, al contempo, il rapporto esistente tra differenti usi dello spazio e le caratteristiche fisico-materiale dei luoghi in esame (il setting). Attraverso brani di interviste, reperti fotografici e un documentario (realizzato da Cristina Lo Presti), si è cercato dunque di documentare la molteplicità dei fruitori presenti nelle piazze, la varietà di attività svolte ed il modo in cui tali pratiche si relazionano tra loro all’interno dei singoli luoghi.
Il convegno, che ha visto una significativa partecipazione di studiosi di varie discipline e nazioni, ha rappresentato – grazie alla varietà delle relazioni e ai dibattiti che hanno fatto seguito ad ogni sessione – un importante momento di confronto su una tematica estremamente attuale sia dal punto di vista scientifico che da quello delle politiche urbane.