di Flavia Marostica
L’iter normativo
Registrato alla Corte dei conti il 12 gennaio 2011, pubblicato nella Gu n. 24 del 31 gennaio 2011, è entrato (almeno in teoria) in vigore il 15 febbraio 2011 il decreto 249 del 10 settembre 20101 sulla formazione iniziale docenti per “l’acquisizione di competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali necessarie a far raggiungere agli allievi i risultati di apprendimento previsti dall’ordinamento vigente” (art. 2), ma dal testo, dopo le osservazioni della Corte dei Conti, sono stati tolti alcuni commi non irrilevanti. Il Regolamento non è, però, immediatamente operativo perché mancano alcuni altri provvedimenti necessari all’avvio del nuovo sistema che dovranno essere adottati con decreti ministeriali e seguire perciò lo stesso iter procedurale (requisiti per l’accesso alle lauree magistrali per l’insegnamento nella scuola secondaria di II grado, lauree magistrali necessarie per accedere al tirocinio per la scuola secondaria di II grado, percorsi finalizzati alla formazione e all’abilitazione degli insegnanti tecnico-pratici). Rimane, inoltre, del tutto assente ogni rapporto con il reclutamento, come previsto dalla normativa, e ogni riferimento ai tantissimi docenti inseriti delle graduatorie ad esaurimento in attesa da anni dell’assunzione a tempo indeterminato.
Tuttavia é stato emanato all’inizio di aprile e trasmesso alla Corte dei Conti per la registrazione il primo dei decreti attuativi2 del Dm 249 (Regolamento) che dà disposizioni (procedure e vincoli per la fase transitoria) alle Università per l’attivazione a partire dall’a.a. 2011/12 della formazione iniziale degli insegnanti (Laurea magistrale per la scuola primaria e dell’infanzia, Lauree magistrali per la scuola secondaria di I grado, Tirocinio formativo attivo (Tfa) per la scuola secondaria di I e II grado, corsi per la specializzazione di sostegno destinati agli abilitati, corsi di perfezionamento per l’insegnamento di una disciplina in lingua straniera (Clil), corsi speciali per la scuola primaria e dell’infanzia destinati ai docenti diplomati entro il 2001/2002). I corsi di laurea magistrale possono essere istituiti per la scuola dell’infanzia e primaria nelle sedi dei corsi di laurea in Scienze della Formazione primaria, per la scuola secondaria di primo grado “nel numero massimo di uno per Regione, oppure di uno per gruppo di Regioni, relativamente a ciascuna classe di abilitazione”. “Entro dodici mesi dalla propria effettiva operatività, l’Anvur3 provvede a elaborare e proporre al ministro i requisiti necessari per la istituzione e la attivazione a regime dei corsi di studio […] da adottare con successivo decreto. Le Università, entro ventiquattro mesi dalla adozione di quest’ultimo, si adeguano ai requisiti ivi previsti […] pena la soppressione e conseguente disattivazione degli stessi” (art. 3).
Ma una nota di poche settimane dopo4 indirizzata alle Università ha indicato le date entro le quali debbono essere concluse le operazioni attuative di quanto disposto nel Dm 139 (in attesa di registrazione), date talmente ravvicinate da provocare a distanza di pochissimi giorni una Mozione del Crui5 che dichiara non esserci problema per la scuola dell’infanzia e primaria e per il Tfa nella transizione, ma chiede di rimandare l’avvio delle lauree magistrali nella scuola secondaria di I e II grado all’anno accademico 2012/2013.
In questo quadro piuttosto nebuloso e in parte anche contradditorio6 in cui è quasi impossibile “vedere” cosa effettivamente stia accadendo non è inutile riflettere ancora sul decreto/regolamento 249.
Sulla bozza è stato pubblicato nel n. 24 (novembre 2010) della Rivista l’articolo di Paolo Bernardi Cosa c’è dopo le SSIS? Uno sguardo sul nuovo modello di formazione degli insegnanti di cui condivido ampiamente l’analisi fatta e soprattutto le perplessità; poiché il testo varato presenta poche differenze rispetto la bozza e il meccanismo istituzionale è lo stesso mi sembra utile partire da qui per provare ad esprimere alcune riflessioni, basate sull’esperienza personale fatta negli anni7, con un’attenzione rivolta in particolare alla formazione degli insegnanti di storia, dal momento che l’insieme delle procedure che verranno attivate è in parte ancora solo ipotizzabile.
Complessivamente non si può non rilevare che il modello di formazione iniziale in 3 diversi percorsi (uno per la scuola primaria, uno per la scuola secondaria di primo grado, uno per la scuola secondaria di secondo grado) – piuttosto pesante ma giustamente per la delicatezza dei ruoli e dei compiti che i docenti debbono svolgere nell’educazione/formazione/istruzione dei giovani pur in mancanza di un adeguato riconoscimento sia sociale che economico – è coerente con quanto già previsto nel documento, elaborato tra il 2008 ed il 2009 dal “Gruppo di lavoro per la formazione del personale docente”8, Percorsi di formazione degli insegnanti della scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo grado e di secondo grado che nelle Osservazioni generali e preliminari afferma che i percorsi debbono essere mirati a:
- “un deciso rafforzamento delle conoscenze disciplinari”, “con preminenti finalità di approfondimento disciplinare” in modo che i nuovi docenti posseggano un “elevato livello di conoscenze disciplinari adeguate e aggiornate in riferimento alle materie delle singole classi di abilitazione per l’insegnamento”;
- “promuovere la riflessione pedagogica e sviluppare capacità didattiche, organizzative, relazionali e comunicative” in modo che i nuovi docenti possano “avere l’opportunità di riflettere sulle modalità di trasmissione delle conoscenze e di acquisizione delle competenze e sulle complesse e articolate problematiche della mediazione didattica”.
Dunque la figura del docente (profilo professionale) che emerge è quella di una persona/individuo/soggetto che possiede conoscenze disciplinari forti, approfondite, aggiornate, adeguate a ciò che dovrà insegnare e sa riflettere sulle “modalità di trasmissione delle conoscenze e di acquisizione delle competenze e sulle complesse e articolate problematiche della mediazione didattica”, un insegnante di storia che sa molte cose di storia e sa pensare a come trasmetterle.
Tenuto conto che si parla di insegnanti di scuola che debbono rapportarsi a bambini, ragazzi, giovani (non “quasi” adulti come all’Università), fragili emotivamente e cognitivamente, centrati sul presente e ancora scarsamente riflessivi e comunicativi, che debbono acquisire lentamente e faticosamente il senso della temporalità attraverso una difficile e impegnativa educazione temporale, qualche perplessità in proposito appare del tutto legittima.
Nella scuola si insegna e si apprende con le discipline in gruppi/classi (apprendimento sociale) e in questo processo é fondamentale la relazione educativa tra docente e discente, relazione che si impara ad impostare in modo costruttivo solo con una formazione in presenza, tanto più dopo che sono stati soppressi gli enti di sostegno alla formazione e alla sperimentazione.
Alcune prime riflessioni sulla prima formazione dei docenti di storia
Gli insegnanti e la storia (sapere esperto)
È ampiamente condivisibile il fatto che sia data molta importanza al padroneggiamento delle discipline storiche per insegnare storia nella scuola, ma occorre approfondire per capire di quale storia si tratti. Come è sicuramente vero che alla SSIS arrivavano anche persone che la storia la sapevano poco, pur avendo anche una laurea magistrale (nel corso per l’abilitazione di storia e filosofia alcuni avevo fatto solo 2 esami in storia).
Nell’Allegato al decreto, alla Tabella 1, per il Corso di laurea magistrale in Scienze della formazione primaria per la storia si parla di elementi di “storia antica, medioevale, moderna e contemporanea”. In rapporto ai Saperi della scuola si parla di “storia greca, romana, medievale, moderna, contemporanea”.
Alla Tabella 2, per l’insegnamento di storia e geografia nella scuola secondaria di I grado si parla, tra le altre possibilità, di “storia medievale, moderna, dell’Europa orientale, storia contemporanea, storia del cristianesimo e delle chiese, storia greca, storia romana, archeologia classica, archeologia cristiana, discipline demoetnoantropologiche; geografia, geografia economico-politica; storia delle dottrine politiche, storia delle istituzioni politiche, scienza politica, storia delle istituzioni politiche; sociologia generale, sociologia dei processi culturali”.
I riferimenti sono, dunque, tanti ma tutti nei confini della pura tradizione e non c’è alcuna traccia delle tendenze emerse nella storiografia degli ultimi decenni e soprattutto gli ultimi 20 anni: la paleoantropologia e l’archeologia, infatti, ci hanno consentito di arricchire enormemente le conoscenze che avevamo sulla storia del “tempo profondo”, la storia mondiale/globale ci ha permesso di provare a leggere il passato “intrecciando le storie” e individuando le relazioni e gli scambi piuttosto che le egemonie di qualcuno, le storie degli altri continenti ci hanno regalato ricostruzioni di società/civiltà del passato di cui nemmeno immaginavamo l’esistenza o l’importanza, grazie anche all’emergere della ricerca di storici non europei. In questa ottica il riferimento ad una storiografia tradizionale ed eurocentrica non può non lasciare perplessi.
C’è da chiedersi “quanti insegnamenti su queste nuove prospettive della storia le nostre Università possono mettere a disposizione della formazione iniziale dei docenti, ma anche quanti insegnamenti di didattica della storia, quanti insegnamenti che trattino in specifico dello statuto epistemologico della disciplina e mettano in grado di analizzare le discipline storiche” non solo per capire le innovazioni significative degli ultimi decenni sia nelle attenzioni tematiche sia nei metodi di indagine, ma anche per individuare l’insieme di risorse che esse mettono diposizione delle scuole.
Gli insegnanti e il contesto in cui operano
Il docente è un professionista che lavora in un contesto organizzato e quindi nel prestare la propria opera intellettuale deve fare riferimento anche alle “regole” del sistema di istruzione/formazione/educazione che interessa un numero non indifferente di giovani.
L’Istat prevede per l’anno scolastico 2011/2012 un calo di iscritti nella primaria (- circa 3000), una crescita nella secondaria di primo grado (+ circa 13.000), un calo nella secondaria di secondo grado (- circa 4.300): ci saranno circa 2.600.000 nella prima, circa 1.700.000 nella seconda, circa 2.500.000 nella terza (circa il 45% nei licei, il 30% nei tecnici, 25% nei professionali, quindi, nonostante la tendenza degli ultimi anni a un aumento dei giovani che optano per gli studi liceali, più della metà frequenteranno i tecnici e i professionali) per un totale di circa 6.800.000 (una percentuale dell’11% sulla popolazione, molto bassa al confronto con gli altri paesi occidentali).
A partire dal 1999 e dal Regolamento dell’autonomia (Dpr 275) non ci sono più Programmi che descrivono cosa debbono fare gli insegnanti, ma ci sono precise Indicazioni nazionali che debbono essere utilizzate/adattate/interpretate nelle scuole per la costruzione dei curricoli (progettazione dei processi di apprendimento dei giovani) e per la predisposizione del lavoro d’aula (per la scuola di base quelle emanate nel 20079, per il primo biennio obbligatorio, ma fino ad un certo punto, quelle emanate nel 200710, per le superiori tutte quelle emanate sotto forma di indicazioni o linee guida nel corso dell’anno 201011) anche se non si può non notare una non irrilevante diversità tra i diversi documenti, più semplici e stringate nei primi due casi, più ridondanti nel terzo. Inoltre. Il linguaggio e l’impostazione sono in larga parte non sufficientemente chiari e con scarsi ed evidenti cenni di continuità verticale: per la scuola dell’infanzia si parla di competenza, mentre per il resto della scuola di base di competenze e anziché introdurre un riferimento ai livelli si parla di obiettivi; nella scuola di base si parla di aree disciplinari e nel biennio dell’obbligo di assi culturali, per le superiori solo ed unicamente di discipline anche se viene spesso usata la parola competenze; solo nel biennio c’è un esplicito riferimento alla necessità di costruire anche competenze trasversali con una forte valenza orientativa. Non è, infine, irrilevante il fatto che, almeno per la scuola di base negli ultimi dieci anni le Indicazioni hanno avuto 4 redazioni, anche molto diverse per impostazione generale e anche per il linguaggio utilizzato12.
Tuttavia tutte le Indicazioni prevedono competenze, abilità, conoscenze come traguardi di apprendimento; in particolare per la storia ci sono due percorsi: uno che inizia con un lento ingresso nella disciplina all’inizio della scuola primaria e si conclude alla fine della scuola secondaria di primo grado ed é finalizzato all’acquisizione delle competenze e abilità fondamentali e dei “saperi essenziali” (dal processo di ominazione ad oggi); un altro che riguarda la scuola secondaria di secondo grado ed è mirato all’approfondimento delle questioni e al potenziamento della capacità.
In questa sede non è possibile fare un’analisi dettagliata di questa letteratura a dir poco sterminata, ma è utile riprendere alcuni aspetti di questi documenti non solo perché essi servono a chiarire i punti di riferimento che debbono essere tenuti presenti dagli insegnanti nella loro attività e a capire se quanto sta emergendo sulla formazione iniziale sia o meno all’altezza del compito, ma anche per valutare se hanno ragione quanti sostengono che i docenti debbono semplicemente sapere ciò che poi debbono insegnare oppure quanti auspicano che sappiano molto ma molto di più.
Le indicazioni per la scuola di base sono uniche e riguardano sia la scuola primaria che quella secondaria di primo grado (continuità).
Il percorso è finalizzato alla comprensione e alla spiegazione della “complessità della storia” e de “il passato dell’uomo, partendo dallo studio delle testimonianze e dei resti che il passato stesso ci ha lasciato” e “dalla molteplicità delle scale e dei punti di vista a partire dai quali può essere ricostruita” “per orientarsi nella nostra società”. “I diversi compiti di apprendimento” sono così distribuiti “lungo tutto l’arco della primaria e della secondaria di primo grado. Nella fase del primo insegnamento, i docenti cureranno la formazione dei concetti di base del ragionamento storico e si soffermeranno su aspetti di storia locale, esperibili da vicino […] La conoscenza sistematica e diacronica della storia verrà realizzata fra il secondo biennio della primaria e la fine della secondaria di primo grado”. La “scansione fra primaria e secondaria di primo grado è costituita dalla Caduta dell’impero Romano d’Occidente”.
Le competenze da conseguire sono articolate in:
- conoscenze (Strumenti concettuali e conoscenze) di “argomenti la cui conoscenza è imprescindibile per tutti gli alunni, da qualsiasi luogo provengano: dal Neolitico alla Rivoluzione industriale, dalla storia dell’ambiente a quella dei processi di globalizzazione”, “gli aspetti fondamentali della preistoria, della protostoria e della storia antica”, “i processi fondamentali della storia europea medievale, moderna e contemporanea”, “il processo di formazione della storia italiana, europea e mondiale”, “i processi fondamentali della storia mondiale, dalla civilizzazione neolitica alla rivoluzione industriale, alla globalizzazione”;
- abilità (Uso dei documenti, Organizzazione delle informazioni, Produzione) tra le quali: “comprendere testi storici”, “ricavare da fonti di tipo diverso conoscenze semplici su momenti del passato”, riconoscere “le tracce storiche presenti sul territorio” e comprendere “l’importanza del patrimonio artistico e culturale”, “interpretare le fonti e le conoscenze acquisite”, organizzare “la conoscenza, tematizzando e usando semplici categorie”, “usare scale temporali e spaziali diverse”, “collocare la storia locale in relazione alla storia italiana, europea, mondiale”, “produrre testi, utilizzando conoscenze, selezionate e schedate da fonti di informazione diverse, manualistiche e non”, utilizzare “un personale metodo di studio”, capire “ alcune procedure e tecniche di lavoro nei siti archeologici, nelle biblioteche e negli archivi”, “apprezzare il valore e i prodotti del lavoro scientifico professionale”.
Per le scuole superiori in realtà ci sono Indicazioni per i licei e Linee guida per i tecnici e i professionali, oltre alle indicazioni per il biennio a compimento dell’obbligo (2007) che sono ricomprese in queste ultime.
Le indicazioni per i licei (le uniche che delineano anche nei dettagli l’intero percorso quinquennale), che definiscono “la storia come una dimensione significativa per comprendere […] le radici del presente”, prevedono, tra le altre, le seguenti:
- conoscenze: “i principali eventi e le trasformazioni di lungo periodo della storia dell’Europa e dell’Italia, dall’antichità ai giorni nostri, nel quadro della storia globale del mondo”, avendo “attenzione alle civiltà diverse da quella occidentale per tutto l’arco del percorso, dedicando opportuno spazio […] alla civiltà indiana […] alla civiltà cinese […] alle culture americane precolombiane […] ai paesi extraeuropei conquistati dal colonialismo europeo […] per arrivare alla conoscenza del quadro complessivo delle relazioni tra le diverse civiltà nel Novecento”; “l’epoca contemporanea, dall’analisi delle premesse della I guerra mondiale fino ai giorni nostri” (alla quale è dedicato tutto l’ultimo anno); il secondo Novecento “attorno a tre linee fondamentali: 1) dalla ‘guerra fredda’ alle svolte di fine Novecento 2) decolonizzazione 3) la storia d’Italia nel secondo dopoguerra”;
- abilità: “comprendere i modi attraverso cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia, la varietà delle fonti adoperate, il succedersi e il contrapporsi di interpretazioni diverse” per maturare “metodo di studio conforme all’oggetto indagato”.
La Declinazione dei risultati di apprendimento in conoscenze e abilità per il primo biennio per gli istituti tecnici e professionali è praticamente identica tranne qualche piccolo ritocco (per i tecnici sono previste 7 competenze da conseguire alla fine del quinquennio, per i professionali 5, ma 2 sono identiche e altre 2 molto simili; per i professionali c’è anche un riferimento all’opportunità di “adottare strategie didattiche flessibili”) e prevede sia il riferimento alle competenze attese a conclusione dell’obbligo di istruzione, sia l’individuazione di 4 competenze, sia, tra le altre, le seguenti:
- conoscenze: “la diffusione della specie umana sul pianeta, le diverse tipologie di civiltà e le periodizzazioni fondamentali della storia mondiale […] le civiltà antiche e alto-medievali, con riferimenti a coeve civiltà diverse da quelle occidentali […] elementi di storia economica e sociale, delle tecniche e del lavoro”;
- abilità: “discutere e confrontare diverse interpretazioni di fatti o fenomeni storici, sociali ed economici anche in riferimento alla realtà contemporanea, utilizzare semplici strumenti della ricerca storica a partire dalle fonti e dai documenti, analizzare situazioni ambientali e geografiche da un punto di vista storico, riconoscere le origini storiche delle principali istituzioni politiche, economiche e religiose nel mondo attuale e le loro interconnessioni”.
Risulta interessante, inoltre, fare riferimento, almeno in breve, all’Unione Europea. Tra i numerosi materiali, iniziative, ricerche, documenti sull’insegnamento della storia13, sui quali non è possibile soffermarsi in questa sede, è particolarmente importante la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a Competenze chiave per l’apprendimento permanente. Un quadro di riferimento europeo del 18 dicembre 2006 che individua alcune conoscenze e competenze di base indispensabili nella società della globalizzazione14 e della conoscenza, necessarie a tutti e, quindi, da integrare nei curricoli e aggiornare lungo tutto l’arco della vita perché “contribuiscono alla realizzazione personale, all’inclusione sociale, alla cittadinanza attiva e all’occupazione”; il documento parla anche dello “sviluppo di competenze trasversali nell’ambito dell’istruzione dell’obbligo” e di “competenze trasferibili”, aggiungendo che “ciò richiede approcci diversi nell’organizzazione dell’apprendimento nonché nuove competenze da parte degli insegnanti”.
Tra le competenze chiave ci sono anche quelle sociali e civiche che così vengono definite: “includono competenze personali, interpersonali e interculturali e riguardano tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa, in particolare alla vita in società sempre più diversificate, come anche a risolvere i conflitti ove ciò sia necessario. La competenza civica dota le persone degli strumenti per partecipare appieno alla vita civile grazie alla conoscenza dei concetti e delle strutture sociopolitici e all’impegno a una partecipazione attiva e democratica”. Queste competenze vengono declinate poi in conoscenze, abilità e attitudini essenziali.
Limitandosi ai riferimenti che riguardano la sola storia si trovano molte affermazioni importanti e inequivocabili: la storia è una componente fondamentale delle competenze sociali e civiche e “comprende la conoscenza delle vicende contemporanee nonché dei principali eventi e tendenze nella storia nazionale, europea e mondiale” e “dei movimenti sociali e politici” e quindi è soprattutto storia contemporanea e storia su scale spaziali diverse tra le quali anche quella mondiale; essa contribuisce a formare la “capacità di impegnarsi in modo efficace con gli altri nella sfera pubblica nonché di mostrare solidarietà e interesse” e “senso di appartenenza al luogo in cui si vive, al proprio paese, all’Ue e all’Europa in generale e al mondo”.
Pur nella loro relativa diversità, le Indicazioni e le Linee guida e i documenti europei – che l’insegnante può interpretare/adattare ma alle quali, pur nel riconoscimento della più totale libertà di insegnamento, deve attenersi – comprendono, dunque:
- conoscenze che vanno ben al di là di quelle tradizionali (la storia mondiale le sue periodizzazioni fondamentali, la storia dei paesi non europei, la diffusione della specie umana sul pianeta, la preistoria, la protostoria, il neolitico, i processi di globalizzazione, elementi di storia economica e sociale, delle tecniche e del lavoro, e non solo politico-istituzionale);
- abilità/competenze molto specialistiche, ma fondamentali nel processo di apprendimento, come “comprendere i modi attraverso cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia, la varietà delle fonti adoperate, il succedersi e il contrapporsi di interpretazioni diverse” per maturare “metodo di studio conforme all’oggetto indagato”.
I futuri insegnanti, dunque, di tutti gli ordini di scuola avrebbero bisogno sicuramente anche di completare/arricchire/potenziare/approfondire le loro conoscenze, soprattutto sui temi relativamente nuovi sui quali dovranno impegnare i giovani, ma avrebbero ancor più bisogno di apprendere come si fa ricerca storica, come si lavora sui diversi tipi di fonte, come si ricavano informazioni e come si connettono per trovare il filo della descrizione/narrazione/spiegazione, in altre parole in cosa realmente oggi consiste il mestiere dello storico. Questo non perché debbano diventare a loro volta degli storici e perché inducano i giovani a diventare degli storici, ma perché solo acquisendo gli strumenti del mestiere e sapendoli usare correttamente possono predisporre percorsi di apprendimento in cui gli allievi introiettano le abilità cognitive di tipo logico e metodologico (che gli storici utilizzano) e le trasformano, consapevolmente, in risorse e ricchezza personale, in “metodo di studio conforme all’oggetto indagato” e in capacità di utilizzarle anche con i saperi non formali e informali nella vita di tutti i giorni. L’Università, poiché è luogo di ricerca di alto livello, potrebbe/dovrebbe svolgere magnificamente questo compito.
Il docente professionista riflessivo produttore di “sapere didattico”
Purtroppo un insegnante che voglia essere efficace, oltre a possedere molte conoscenze e a padroneggiare gli strumenti del mestiere, ha bisogno di sapere e soprattutto di sapere fare molte altre cose che fanno parte del sapere professionale e segnano in modo significativo l’intero processo di insegnamento/apprendimento e quindi vanno acquisite in modo scientificamente fondato e ad un livello alto. Desta, infatti, non poche perplessità, l’ipotesi che gli aspetti più professionali vengano acquisiti sono nel tirocinio a scuola con il rischio di incontrare a volte realtà ed esperienze di grande interesse, a volte di scarso o nessun rilievo, di poter provare a volte a sperimentare percorsi innovativi, a volte di essere costretti a fare solo lezioni frontali, di aver occasione a volte di riflettere con il docente ospitante sulla sua esperienza, a volte di trovare solo esempi di pratica d’uso.
Il docente, anche se molti pensano ancora che il suo lavoro sia solo ed unicamente quello in classe, ha diversi compiti da svolgere: deve scegliere oggetti di apprendimento, progettare e costruire curricoli verticali e poi anche moduli/unità di apprendimento per il lavoro d’aula mirati alla costruzione di competenze da metterle in relazione con i saperi già posseduti e di un metodo di apprendimento (lavoro intellettuale) che consenta di sapere come procedere, guidare poi in aula la realizzazione effettiva del processo, fornendo feed-back, stimoli, aiuti, infine verificare e valutare gli apprendimenti e l’intero percorso (si veda la tabella 1).
Per fare tutto questo deve essere (e sentirsi tale) un professionista riflessivo15 ovvero un produttore di sapere didattico (ricercatore), attore di relazioni positive, organizzatore di apprendimento (non trasmettitore), impegnato in un costante lavoro di analisi e di rielaborazione delle prassi didattiche, e deve operare entro una comunità di pratiche (collaborando con gli altri), con un’ampia autonomia e responsabilità (già sancita dal Regolamento dell’Autonomia, il Dpr 275/1999) e con i soli vincoli della coerenza con gli statuti disciplinari contemporanei e con le indicazioni nazionali.
Essere un professionista che lavora in un contesto organizzato istituzionale dedicato alla formazione/istruzione/educazione dei giovani significa:
- prestare la propria opera intellettuale con l’obbligo del rispetto dei tempi e del conseguimento dei risultati, ma con autonomia di organizzazione, di progettazione, di realizzazione del lavoro e di scelta dei metodi e degli strumenti;
- operare responsabilmente entro un quadro di regole date da osservare, interne e in riferimento all’esterno.
In particolare la funzione docente è un compito da svolgere nel contesto delle finalità sociali di un servizio pubblico in cui:
- sono importanti i diritti dei destinatari,
- ma anche l’esplicazione della professionalità di chi è stato legittimato
- dal committente del servizio.
L’esercizio dell’autonomia, poiché comporta responsabilità sul processo di apprendimento e sulla sua gestione, richiede di andare oltre la funzione, di superare decisamente la cultura della routine (ancora molto radicata) e di appropriarsi di una tensione continua al miglioramento e di una reale cultura del progetto, dell’osservazione, dell’autovalutazione per governare l’instabilità e la flessibilità dei processi. All’insegnante non bastano più i soli saperi disciplinari (che pure rimangono di importanza fondamentale e vanno continuamente revisionati a causa della continua produzione/revisione), ma occorrono sempre più un insieme di competenze teoriche e strumentali che costituiscono il sapere specifico della professione docente.
Se la professione é un’attività di tipo intellettuale per svolgere la quale occorre un curricolo di studi ampio e specifico, un tirocinio per acquisire conoscenze tecniche in contesti operativi reali, il superamento di un esame pubblico (ma non sempre), l’adesione a un codice deontologico come strumento di regolazione sociale del lavoro attraverso la sanzione di valori regole principi comportamentali che debbono essere accettati e interiorizzati dai singoli, la professionalità è l’insieme di tutte le capacità e competenze che sono necessarie per esplicare al meglio una professione.
Ma le attività di natura professionale hanno due caratteristiche:
- non poter essere del tutto apprese prima di venir effettivamente esercitate,
- dover essere sottoposte ad una continua “manutenzione”.
Questo comporta:
- una grande importanza dell’aggiornamento continuo come cura individuale della propria professionalità,
- una formazione strettamente collegata ai contesti di azione (luoghi di lavoro),
- una ricerca legata sia all’esperienza personale sia alla ricerca accademica16.
Le competenze così acquisite diventano expertise (perizia) ovvero capacità che richiede che il sapere teorico, per essere applicato alla soluzione di problemi specifici, si integri con il sapere proveniente dalla conoscenza del contesto in cui si agisce.
È utile, quindi, riflettere in modo approfondito sul profilo professionale dell’insegnante e sulle competenze di cui deve essere portatore per svolgere il proprio compito istituzionale e per affrontare in modo costruttivo le pratiche quotidiane, anche per poter pensare alle modalità ottimali della loro prima formazione e della formazione in servizio.
Per limitarsi al puro insegnamento disciplinare, ma tenendo conto delle diverse fasi del processo, si può affermare che ogni docente ha bisogno di padroneggiare diverse tipologie di competenze e di saperi (si veda la tabella 2):
- alcuni di tipo cognitivo ma in senso allargato e in modo da consentirgli anche una connessione continua tra i saperi formali (che insegna) e i saperi quotidiani, formali e non formali (di cui sono anche troppo ricchi i giovani);
- altri di tipo istituzionale ma anche in questo caso in senso allargato in modo da cogliere i cambiamenti interni ed esterni per poter valorizzare le potenzialità positive e contenere quelle negative;
- altri ancora a forte carattere metaemozionale in modo da saper guidare/sostenere l’apprendimento dei giovani anche attraverso relazioni positive e costruttive;
- altre ancora a forte carattere metacognitivo/professionale in modo da essere in grado di organizzare l’apprendimento dei giovani e tutti i suoi fattori costitutivi;
- altre infine di tipo comunicativo in modo non solo da saper parlare al cuore e alla mente dei giovani ma anche e soprattutto da saper cogliere ciò che di solito è oggetto di scarsa attenzione, pur essendo rilevante per capire.
I condizionamenti, ma anche le risorse cui il docente deve fare riferimento sono:
- una buona dimestichezza con i punti di riferimento istituzionale comunque essi siano organizzati e ricchi, in tutte le loro parti e in tutte le loro possibilità, per assumerli come orizzonte di riferimento generale;
- una solida e aggiornata conoscenza degli argomenti su cui si intende lavorare ovvero dei risultati più recenti della ricerca scientifica contemporanea, per evitare il rischio di trasmettere “fossili concettuali”17 e per assumerli come criteri per le scelte didattiche di merito e di metodo;
- una competente padronanza di capacità professionali in termini soprattutto di capacità di mettere assieme vari fattori in un progetto strutturato organico e sensato, ma anche di conoscenza delle risorse umane e materiali della scuola e del territorio e di abitudine a calcolare le relazioni tra progetto calendario e monte ore;
- una adeguata attenzione ai bisogni (generali e specifici) dei giovani (di tutti e dei singoli) e ai saperi di cui sono portatori (più che alle loro inevitabili “carenze”).
L’elaborazione dei curricoli – che è l’avvio della produzione del “sapere didattico” sulla base del “sapere esperto” – e soprattutto la predisposizione del lavoro d’aula richiedono, infatti, ai docenti il superamento della subalternità al libro di testo e un’attività di ricerca: “la costruzione del curricolo è il processo attraverso il quale si sviluppano e organizzano la ricerca e l’innovazione educativa”, “il processo di costruzione del curricolo non si conclude una volta per tutte ma si configura come ricerca continua”. Sicché la scuola si presenta “come luogo di ricerca in rapporto dialettico con le istanze provenienti dalla comunità scientifica, le istanze provenienti dalla comunità sociale e quelle etiche e che caratterizzano l’orizzonte dei valori condivisi rappresentati sia a livello centrale sia a livello locale”18.
La ricerca didattica e la produzione di sapere didattico su carta e/o su strumenti multimediali, soprattutto dopo la diffusione delle Lim (lavagne interattive multimediali), si realizza in tre operazioni successive di carattere squisitamente professionale (non solo):
- la prima consiste nell’analizzare le discipline che, in quanto sistema formalizzato di conoscenze, pur essendo ciascuna diversa dalle altre e con peculiarità proprie, sono come un enorme deposito di risorse a disposizione per formare competenze, nello spezzarle/de-strutturarle in una pluralità di segmenti per vederle non solo come un’insieme di conoscenze dichiarative (semplici o singole e complesse o aggregati di conoscenze), enunciati, concetti, ma anche di procedure metodologiche e di operazioni cognitive specifiche (proprie di una singola disciplina) che si fanno o che sono state fatte, usando facoltà mentali (gli operatori cognitivi), sulle informazioni per organizzarle e dar loro un significato che le trasformi in conoscenze significative; si tratta di un’operazione prima di tutto di studio e di aggiornamento e poi anche di analisi, indispensabile sempre, ma soprattutto in una fase in cui tutti i saperi si sono moltiplicati/dilatati e in alcuni casi anche profondamente modificati al punto che tutto quanto è stato appreso anche solo pochi anni prima, durante gli studi universitari, rischia di essere almeno in parte obsoleto o insufficiente sia sul piano metodologico che contenutistico;
- la seconda consiste nell’individuare le conoscenze e le procedure più significative per i giovani di oggi e selezionare/scegliere con precisione quelle da fare oggetto di apprendimento per costruire abilità e competenze; in questo caso si tratta di un’operazione molto delicata di mediazione tra le opzioni del collegio, quelle delle équipe di insegnanti della stessa disciplina (Dipartimento) e quelle dei singoli insegnanti; si tratta di una vera e propria scelta politica, o meglio di politica culturale, quindi di una scelta che non è affatto neutra;
- la terza, infine, consiste nel costruire moduli/unità di apprendimento con una nuova strutturazione delle risorse della disciplina a sostegno dell’apprendimento e nel mettere a punto un prodotto che è il risultato della ricerca dei docenti e insieme il supporto alla ricerca dei discenti (“il sapere didattico”)19.
Tabella 1: FASI DELL’INSEGNAMENTO
PROGETTAZIONE
prima dell’attività
con i gruppi di giovani
progetto delle attività di scuola (curricolo disciplinare e attività integrative per Pof)
progetti delle attività d’aula
progetto di valutazione di processo
progetto di valutazione di prodotti
ATTUAZIONE DEI PROGETTI
con i gruppi di giovani
decisa prima della progettazione
realizzazione dei progetti
conduzione/negoziazione in aula
osservazione del processo
osservazione della fruibilità dei prodotti
VALUTAZIONE
del percorso didattico fatto
dei materiali prodotti
monitoraggio del processo
monitoraggio dei prodotti
individuazione alternative
decisione di cambiamento/miglioramento
Tabella 2: SAPERI E COMPETENZE NECESSARI AL DOCENTE
DISCIPLINARI
contenuti aggiornati (dati e concetti)
procedure logiche e metodologiche
linguaggio
statuto disciplinare (ricerca)
ORGANIZZATIVO-ISTITUZIONALI
programmi/curricoli/indicazioni/standard
meccanismi funzionamento interno
contesto istituzionale allargato
risorse del territorio
PSICOLOGICO-RELAZIONALI
modalità relazioni costruttive
modalità di apprendimento
modalità di conduzione dei gruppi
dominio di più strategie e tecniche
PROFFESSIONALI
prevedere e progettare attività
produrre materiali didattici
monitorare processi e prodotti
valutare processi e prodotti
COMUNICATIVI
esprimere
osservare
ascoltare
utilizzare le nuove tecnologie
Bibliografia
Lelli Luciano, Summa Ivana (cur.)
2001 Professionalità docente per l’innovazione, IRRE ER, Napoli, Tecnodid.
Marostica Flavia
2001 Formazione 2000. Dall’esperienza e dalla teoria alcune riflessioni per la formazione in servizio dei docenti in Lelli, Summa, pp. 129-150.
2009 Il fuso e la rocca. Strumenti per insegnare ad apprendere e ad “imparare ad imparare” storia, Bologna, Format libri.
Mattozzi Ivo
1990a Morfologia della conoscenza storiografica e didattica in Mattozzi
1990b (cur.) La cultura storica: un modello di costruzione, Faenza, Faenza Editrice, (Ra) 1990;
1992 Le parole del programma e la riconversione dell’apparato concettuale. Struttura della conoscenza storica e didattica della storia, Educazione all’uso delle fonti e curricolo di storia. Formare il senso del fatto storiografico in Roseti.
Roseti Pasquale (cur.)
1992 Storia geografia studi sociali, IRRSAE ER, Bologna, Nicola Milano Editore.
Schön Donald
1993 Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Bari, Dedalo.
Contenuti correlati
- Regolamento concernente Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell’articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. [↩]
- Decreto ministeriale 139 del 4 aprile 2011, Attuazione DM 10 settembre 2010, n. 249, recante regolamento concernente “formazione iniziale degli insegnanti”. Trasmesso alla Corte dei Conti per la registrazione. [↩]
- Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, ente pubblico vigilato dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur). [↩]
- Nota Prot. n. 1016 del 20 aprile 2011 Attuazione D.M. 10 settembre 2010, n. 249, recante regolamento concernente “Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell’articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n. 244”; le date sono: entro il 18 maggio proposte di istituzione dei corsi, entro il 9 giugno chiusura dell’esame delle proposte da parte del Cun (Consiglio universitario nazionale), entro il 15 giugno chiusura della verifica da parte del rettore del possesso dei requisiti necessari. [↩]
- Mozione del Crui (Conferenza dei rettori delle Università Italiane) sui tempi d’attuazione del Regolamento (Dm 249/201) del 28 aprile 2011. [↩]
- Alle norme emanate in aprile/maggio sopra indicate si può aggiungere anche la Nota del 29 aprile 2011 protocollo n. 1065 Nota chiarimenti DM 10 settembre 2010, n. 249 relativo alla Formazione Iniziale Docenti che contiene però solo chiarimenti tecnici. [↩]
- Dal 1971 al 1991 l’insegnamento a scuola per lo più negli istituti superiori, dal 1991 al 2010 l’attività di ricercatrice presso l’Irrsae/Irre Emilia Romagna con reiterati progetti sulla Didattica della Storia e numerose Attività di formazione in servizio e di sperimentazione a sostegno dei processi di innovazione in atto, l’insegnamento in 3 corsi abilitanti speciali (2 con Ust di Bologna e 1 con Unibo), negli anni accademici 2006/7, 2007/8, 2008/9 l’insegnamento di Didattica della storia alla Ssis della Libera Università di Bolzano (sede di Bressanone) e nel 2008/9 anche quello di Problematiche storiche attuali. [↩]
- Istituito con Dm del 30 luglio 2008. [↩]
- Decreto del 31 luglio 2007 con allegate le Indicazioni. [↩]
- Decreto 139 del 22 agosto 2007 con allegati gli Assi culturali e le Competenze chiave. [↩]
- I 3 Regolamenti datati 15 marzo 2010 (Dpr 87 per gli istituti professionali con Allegati B e C contenenti i Risultati di apprendimento, DPR 88 per gli istituti tecnici con Allegati B e C contenenti i Risultati di apprendimento, Dpr 89 per i licei) sono stati pubblicati sulla Gu n. 137 del 15 giugno 2010 (So n. 128) e sono entrati in vigore il 16 giugno 2010; le Direttive 57 del 15 luglio 2010 e 65 del 28 luglio 2010 con Linee guida; il Regolamento con Allegato B sulle Indicazioni nazionali sugli obiettivi di apprendimento nei licei è stato adottato con il Decreto interministeriale n. 211 del 7 ottobre 2010, registrato alla Corte dei conti il 29 novembre 2010, pubblicato sulla Gu n. 291 del 14 dicembre 2010 (So n. 275) con il titolo Schema (sic!) di regolamento recante “Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e gli insegnamenti compresi nei piani degli studi previsti per i percorsi liceali di cui all’articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, in relazione all’articolo 2, commi 1 e 3, del medesimo regolamento”, ed è entrato in vigore il 29 dicembre 2010. [↩]
- Nel 2001 con il ministro De Mauro, nel 2002 per la sperimentazione e nel 2004 per la legge di riforma 53 del 2003 con il ministro Brichetto Moratti, nel 2007 con il ministro Fioroni. [↩]
- La storia e l’apprendimento della storia in Europa, Raccomandazione dell’Assemblea parlamentare del 22 gennaio 1996; il Progetto del Consiglio d’Europa Learning and teaching about the history of Europe in the 20th century, 2000; L’insegnamento della storia nel XXI secolo, Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 31 ottobre 2001 con Appendice; Robert Stradling, Teaching 20th-century european history. Istituzioni, politiche e allargamento dell’Unione europea, pubblicato dal Consiglio d’Europa all’interno del Progetto Learning and teaching about the history of Europe in the 20th century, 2001; Eurydice, Key Competencies. A developing concept in general compulsory education, Bruxelles 2002; Jean-Michel Leclercq, La dimensione europea nella Didattica della Storia: immagini plurali e posizioni multiple, Relazione, Strasburgo 9-10 ottobre 2006; Consiglio d’Europa, The European Dimension in History Teaching: Plural Images and Multiple Standpoints, Bruxelles 2006; Progetto L’immagine degli altri nell’insegnamento della storia, Simposio Imparare storia per comprendere e sperimentare la diversità culturale oggi, Documento informativo della Segreteria, Strasburgo 29-30 ottobre 2007; Attitude to memorials exposed to different historical interpretations in Council of Europe member states, Report Political Affairs Committee dell’Assemblea parlamentare del 14 ottobre 2008. [↩]
- Per aderenza all’uso fatto nel documento europeo si utilizza solo la parola globalizzazione che indica “il fenomeno per cui le economie e i mercati nazionali, grazie allo sviluppo delle telecomunicazioni e delle tecnologie informatiche, vanno diventando sempre più interdipendenti, fino a diventare parte di un unico sistema mondiale”, mentre la parola mondializzazione indica più genericamente l’interconnessione a tutti i livelli di tutti i fenomeni del mondo (Dizionario di italiano dell’Enciclopedia, Torino, 2004). [↩]
- Cfr. Schön 1993. [↩]
- Cfr. Marostica 2001, 129-150. [↩]
- Cfr. Mattozzi 1990a; 1992. [↩]
- Le citazioni virgolettate sono tratte dalle Indicazioni per la scuola di base e da quelle per il biennio dell’obbligo del 2007. [↩]
- Cfr. Marostica 2009. [↩]